Un artigiano ai tempi del Covid19 di D. Brignoli

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Carissimi,

mi sia permesso di ricordare quale sia la mia situazione e quali le conseguenze dell’emergenza dettata dall’epidemia. Il che credo mi consenta un intervento, forse di parte ma vi assicuro sincero. Faccio l’artigiano, il falegname, insieme ai miei due fratelli. Mia moglie lavora, anzi lavorava, in hotel con contratti stagionali. Abbiamo un figlio che non ha ancora un lavoro e vive con noi. La falegnameria, dopo una settimana in cui abbiamo potuto lavorare senza che entrassero estranei, è chiusa e l’ultimo incasso (2.300 euro)  risale  al 27 febbraio. Sempre di febbraio è il saldo (43 euro) della disoccupazione di mia moglie. Abbiamo entrambi fatto richiesta dei famosi 600 euro, a lei sono arrivati i soldi, a me solo la notifica dell’avvenuta ricezione. Abbiamo comunque onorato i pagamenti giunti  nel frattempo: assicurazione auto, telefono, ENEL, rata dell’auto (il gas lo pagheremo la prossima settimana) a casa; rata del furgone, utenze e ricevute bancarie di fine mese in azienda. Se volete vi mando l’estratto conto di casa e della ditta ma ve lo lascio immaginare. Dico solo che se lunedì prossimo non torno a lavorare, e per fortuna ho dei lavori da consegnare, da terminare e da iniziare, difficilmente sarò in grado di onorare le prossime scadenze.
Detto questo so di essere relativamente fortunato: la casa in cui abitiamo è di nostra proprietà (l’ultima rata del mutuo che ha condizionato vent’anni della nostra vita risale a 5 anni fa), il laboratorio è di proprietà dei miei genitori e non paghiamo nessun affitto, oltre alla peraltro esigua rata del mutuo per il furgone non abbiamo altri debiti, a preoccupare maggiormente le scadenze fiscali.
Una situazione dunque di estrema precarietà, quella precarietà che denuncio, penso ve ne ricordiate, pressoché in ogni mio intervento, a partire da quello che feci a Fondamenta con Visco, Guerra ed Epifani.
Nonostante questo rimango convinto che la scelta di proseguire con le limitazioni annunciate ieri sera sia la scelta giusta, perché la malattia non è vinta e anzi proprio qui da noi in Piemonte è ancora parecchio aggressiva. Allo stesso tempo, come ho scritto ieri sollevando qualche critica,  ho apprezzato toni e parole usate da Conte; parole rivolte alla massa di 60 milioni di cittadini, quindi doverosamente semplici e didascaliche, a mio avviso finalizzate ad evitare che l’allentamento delle restrizioni desse l’impressione del “liberi tutti” dando il via a comportamenti pericolosi. Capisco poi che trovare un equilibrio tra tutte le esigenze e le richieste sia assolutamente complesso se non impossibile e le critiche inevitabili. Mi permetto di dire che trovo eccessive le critiche riguardo Messe e partite di calcio, con tanto rispetto per le prime e pochissimo per le seconde. So che può apparire eccessivamente punitivo e irriguardoso vietare le grigliate, ma è stato difficile per un mio amico spiegare al padre che giocare alle carte alla Casa del Popolo era pericoloso, poi  quando due dei quatto giocatori di scopa sono morti  e lui stesso si è ammalato ha capito.
Se vogliamo però essere un partito politico dobbiamo comportarci come tale: responsabilità e vicinanza alle scelte del governo che è anche il nostro governo, in particolare ai nostri rappresentanti, Roberto (Speranza) che mi pare il più fermo sostenitore della prudenza, M. Cecilia (Guerra) che ha e avrà nei prossimi mesi un carico di lavoro straordinario, e Federico (Fornaro) encomiabile nello sforzo che sta facendo e protagonista in tante giuste proposte (quella sul costo delle mascherine ad esempio, visto che un mio fornitore mi ha appena inviato un’offerta per mascherine chirurgiche a € 1.90 + iva l’una). Un atteggiamento che temo non ci risparmierà dall’onda che travolgerà gran parte della politica, ma io i comportamenti di Italia Viva proprio non li digerisco.
Questo per il momento contingente dell’emergenza, il che non ci deve sollevare dall’impegno di pensare al dopo, quel dopo che dobbiamo saper ricostruire, perché abbiamo capito, credo, che non potremo tornare alla normalità del prima, perché proprio la normalità è il problema. Ma a quel “dopo” sarebbe opportuno arrivarci. In tanti e in buona salute. A questo scopo vanno messe in atto azioni che minimizzino i rischi, e questo sta facendo il governo.  “O la borsa o la vita” titolava brutalmente un fondo di Massimo Giannini prima di trasferirsi a Torino (altra questione sulla quale ci dovremmo porre qualche domanda); purtroppo è ancora di questo che stiamo parlando, in particolare nella nostra Regione.
Abbiamo messo al primo punto della nostra visione il superamento delle disuguaglianze e la battaglia deve essere contro le fragilità che il coronavirus ha messo in evidenza. Di questo dobbiamo occuparci, questa credo sia la prossima fase, la ricostruzione su basi nuove e diverse, combattendo le scelte e le storture di un sistema che hanno provocato quelle fragilità che il coronavirus ci ha sbattuto in faccia.
– Fragilità del sistema istituzionale: regioni e comuni che vanno per conto loro con ordinanze che si rivelano veri abusi di potere perché non titolati ad assumere decisioni che, a mio avviso giustamente, devono essere assunte dal governo. Per il tempo dell’emergenza, s’intende, perché questa democrazia “sospesa” mi preoccupa e va superata al più presto.
– Fragilità del sistema sanitario: non credo ci sia bisogno di aggiungere molto riguardo le critiche che da tempo rivolgiamo a un sistema che ha privilegiato il privato, depauperando di risorse, anche e soprattutto umane, il pubblico. E abbiamo visto addirittura le difficoltà di approvvigionamento di mezzi e dispositivi. E poi il sistema delle residenze per anziani completamente da rivedere, al di là delle inefficienze, degli errori, di comportamenti illeciti se non criminali, mettere insieme troppe persone si è rivelato, anche all’estero, una tragedia; potenziare il sostegno alle esperienze di mantenimento a casa degli anziani mi sembra doveroso. La sanità territoriale …
– Fragilità del sistema emergenziale: non so quanto sia condivisa la mia posizione, ma mi sento di criticare fortemente la progressiva trasformazione in organo sempre più militarizzato della Protezione Civile. Organo intoccabile e incensato dalla vulgata comune, ma che non può occuparsi di tutto come se di tutto fosse esperto e capace. Un terremoto non è un’epidemia e costruire abitazioni di emergenza non è la stessa cosa di  un ospedale. Utilizzarla per superare gli ostacoli burocratici e amministrativi attraverso i sistemi sbrigativi di Bertolaso non mi pare una buona idea.
– Fragilità del sistema sociale, economico e del mondo del lavoro. Credo che su questo tema si debba giocare buona parte della proposta politica di un partito intorno al quale dovrebbe ritrovarsi e ricostituirsi un blocco sociale sicuramente diverso e più ampio del tradizionale blocco dei lavoratori dipendenti. Non certo da abbandonare, ma la distinzione non può più essere tra autonomi/imprenditori/ricchi/evasori e lavoratori/sfruttati/sottopagati. La realtà è talvolta diversa, molto diversa, e non è solo un’esigenza di ampliamento del consenso o di forza rappresentativa, ma  di esigibilità per tutti di diritti fondamentali. Il mondo è cambiato, la globalizzazione ha colpito duro chi era privo di adeguate protezioni sociali. Senza riferimenti sociali non andiamo lontano, ma il riferimento deve essere più ampio e adeguato ai cambiamenti avvenuti negli anni. Ho partecipato l’altra sera al primo incontro del gruppo di lavoro del nostro partito dedicato a “Partite Iva e Professioni” che si sarebbe dovuto tenere a Roma il 7 marzo. È presto per trarre conclusioni, trovo però di vitale importanza che si sia aperta una riflessione “da sinistra” sul tema. Tutti i partecipanti ne hanno convenuto.
Verbania 27 aprile 2020
Un abbraccio
Diego Brignoli
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